AHMEDABAD – Un’altra scossa, leggera, poco sotto i sei gradi della Richter, ha fatto alzare dai loro letti di un colpo i 4 milioni di abitanti della capitale del Gujarat, lo Stato più colpito dal terremoto di venerdì scorso in India. Un altro edificio di Ahmedabad è crollato e un’altra notte è passata per le decine di vittime, ormai sicuramente tutte morte, ancora sotto le macerie dove si scava con picconi e bulldozer. Ma le notizie più sconfortanti vengono dalle aree remote dell’epicentro sismico, che venerdì scorso alle 8 mattina ha seminato morte e distruzione in un territorio vastissimo tra India, Pakistan e Nepal.
Mentre i dati ufficiali continuano a parlare di quindicimila morti, soccorritori e popolazione ritengono che le vittime a Bhuj, Rapat e Bhachau, il triangolo maledetto, alla fine saranno superiori alle centomila. Solo a Bhuj, antico e a un tempo incantevole borgo di duecentomila abitanti, sono crollate l’80 per cento delle abitazioni, e cifre analoghe riguardano Anjan, Bhachau, Kutch. Il pessimismo nasce dalla constatazione che solo in rari casi i soccorsi sono riusciti ad estrarre persone vive dalle macerie. Per tre giorni, la gran parte delle persone incastrate sotto gli edifici crollati sono rimaste senza acqua né cibo, mentre magari i loro parenti, a mani nude, cercavano di raggiungerli alla cieca, guidati dall’istinto, o solo dalla disperazione di volerli tirare fuori. Ad aggravare il problema della mancanza di adeguate attrezzature tecniche e di personale specializzato ha contribuito la pessima condizione di alcune strade e dell’aeroporto civile di Bhuj, dichiarato inagibile e sostituito, per voli speciali, con quello militare dove sbarcano, ormai troppo tardi, soldati, volontari e attrezzature.
A Bhuj, dove è stato distrutto anche l’ospedale, i pochi medici disponibili hanno fatto del loro meglio lavorando senza attrezzature e medicinali all’aperto e a una donna hanno amputato una gamba con dei sedativi e strumenti chirurgici sterilizzati alla meglio.
Già da due giorni è cominciato il doloroso rito dei funerali, con cerimonie spesso collettive di cremazione dei corpi. Enormi pire sono state innalzate con i cadaveri ammucchiati uno sull’altro, spesso irriconoscibili per gli stessi parenti che hanno vegliato e pregato senza distinzione per tutti i sepolti vivi del più grave sisma dell’ultimo mezzo secolo. A Bhachau, diecimila dei trentacinquemila abitanti, secondo le testimonianze raccolte da un giornalista di Times of India, sarebbero morti, e ad ogni angolo di strada sono stati accesi falò delle pire crematorie. Una decisione che riduce almeno un po’ il problema delle possibili epidemie, prossimo rischio per i sopravvissuti assieme alle numerose scosse di assestamento che sconsigliano il ritorno a casa. Ma l’odore terribile della decomposizione sta diventando un problema più grave ogni ora che passa. Spesso i soccorritori sono costretti a lavorare per brevi turni, muniti di fazzoletti imbevuti di colonia, e presto le autorità potrebbero decidere di demolire completamente gli edifici e coprirli con gettate di cemento, togliendo così anche l’ultima speranza nel miracolo divino.
Già all’ingresso di Bhachau l’autostrada mostra i segni della tragedia e subito dopo l’ospedale Vagad Seva Samaj, con le mure esterne apparentemente intatte, dentro è solo un ammasso di macerie con sotto pazienti, infermieri, medici, visitatori. Anche qui le pire funerarie sono state innalzate autonomamente dai cittadini e dopo le prime ore in cui si è tentato di calcolare il numero delle vittime, ognuno ha preso e bruciato corpi ad ogni angolo e nessuno è più in grado di tenere le statistiche.. Ma in tutta l’area il nuovo dramma è quello igienico e alimentare. Scarseggiano cibo e acqua, e solo qualche centinaio di linee telefoniche sono state ripristinate per le emergenze. Inevitabile la rabbia delle popolazioni, che hanno anche noleggiato privatamente delle scavatrici per recuperare almeno i corpi dei parenti. Per questo ci è mancato un soffio che il ministro indiano Nitil Patel, giunto nelle aree dell’epicentro nella giornata di sabato, venisse linciato dalla folla inferocita dopo essere sceso dal suo elicottero. Patel, resosi conto della situazione, è tornato precipitosamente a Bombay alla ricerca di aiuti, e ha spedito subito delle scavatrici.
Anche Sonia Gandhi voleva raggiungere l’area dell’epicentro, ma è stata sconsigliata per “non ostacolare i soccorsi” e si è limitata a una visita in uno dei quartieri più colpiti di Ahmedabad. E a spiegare l’apparente mistero dei crolli avvenuti qua e là, come se un dispettoso gigante fosse saltato sui tetti di un centinaio di abitazioni lasciando tutte le altre apparentemente intatte, ecco la spiegazione di un condomino dello stesso edificio di Maninagar. Secondo l’uomo, che mostra ancora profonde ferite al viso e ha perso padre e sorella, la colpa di molti dei crolli sarebbe stata il mancato consolidamento delle fondamenta da parte dei costruttori e accusa una grande impresa edile i cui titolari, Rakash Shah e Nirav Shah, sono scappati precipitosamente da Ahmedabad. Ma a poche centinaia di metri anche una caserma dell’esercito, costruita da altre ditte, è crollata travolgendo soldati e impiegati. Così pure la scuola di Swami Narayan, un’istituzione religiosa con numerose proprietà e fondazioni in tutto il Gujarat, è stata la sola a crollare nel quartiere di Isanpur. I piani si sono appoggiati uno sull’altro e adesso ci sono tre grosse travi che formano un sandwich dove restano ancora incastrati quattro dei sessanta studenti tra i 16 e 18 anni convocati venerdì scorso dai loro insegnanti, nonostante il giorno di festa, per preparare un esame di scienze. Adesso in tutto il Gujarat le scuole sono chiuse fino a nuovo ordine.
(29 gennaio 2001) |
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