NAPOLI, TERRORE ALL’ ALBA NEL PALAZZO DELLA MORTE
NAPOLI – Di un palazzo di tre piani è rimasta solo una guglia di parete altissima con un quadro attaccato. Tutto il resto, alle cinque di ieri mattina, è saltato in aria, distrutto dall’ esplosione causata da una fuga di gas metano. Nel quartiere di Ponticelli, la degradata area operaia e industriale di Napoli, il civico 375 di via De Meis non esiste più. Nove morti, cinque feriti, decine di uomini e donne medicati negli ospedali della città. E cinque persone sono ancora sepolte dai calcinacci. Di queste, tre sono bambini, la più grande ha 14 anni. Sette famiglie coinvolte, 41 i senzatetto. Questo è il bilancio a tarda sera, mentre ancora si scava tra le macerie, alla luce delle fotoelettriche. Una tragedia che nessuno avrebbe mai potuto prevedere. Stavolta non è colpa di una bombola di Gpl, di una stufa lasciata accesa o di un petardo di Natale. A provocare l’ esplosione è stata una fuga di gas metano. Quel dicembre del 1985 Il boato è stato sentito nell’ arco di cinquanta chilometri, ha scosso il sonno di molti abitanti dei paesi alla periferia est di Napoli. Come quel 21 dicembre dell’ 85 quando il deposito dell’ Agip di San Giovanni a Teduccio, a pochi chilometri dall’ incidente di ieri, saltò in aria: cinque morti e 165 feriti. O come nel ‘ 91, quando a Pozzuoli il propano liquido di una caldaia esplose seppellendo otto persone. In centinaia di case il ricordo è andato subito a questi incubi. E’ un’ alba livida, carica di dolore e disperazione, quella che si presenta alle centinaia di uomini delle forze dell’ ordine, vigili del fuoco, carabinieri, polizia, protezione civile, Croce rossa. Alle 7 sono già schierati. E’ un esercito che deve fronteggiare l’ ultima emergenza di una città martoriata. Arriva anche un elicottero, ma qualcuno da terra grida di allontanarsi dal palazzo pericolante. La minima vibrazione potrebbe dare il colpo di grazia a quell’ obelisco di tufo rimasto indenne, potrebbe far scivolare la parete che è restata incatenata al palazzo vicino. Il muro si inclina pericolosamente. Rotola giù qualche pietra. E c’ è il timore di un nuovo crollo. Ma le ricerche devono andare avanti. Ordini, urla, lacrime. Poco dopo i vigili del fuoco estraggono i primi due corpi: non c’ è più nulla da fare per i coniugi Vincenzo Punzo e Ida Palma, di 60 e 57 anni. Sono stati travolti dalla frana di tufo e cemento mentre gli altri familiari, il figlio Vincenzo con la moglie Teresa Cozzolino e il loro piccolo Enzo di 3 mesi, si salvavano aggrappandosi all’ unica ala dell’ edificio rimasta per molte ore in bilico. Alle nove un applauso liberatorio allenta la tensione e accoglie il bambino miracolosamente salvato dalle macerie. Si chiama Alessandro Donnarumma, compirà presto otto anni. Lo caricano su una lettiga. La gente batte le mani, piange, e lui, il viso coperto da polvere bianca, i capelli biondi ritti in testa per il freddo, accenna ad un saluto con la mano. “Ho sognato che cadevano tante pietre”, dirà più tardi ai medici dell’ ospedale Santobono. Ancora non sa che il padre, Michele, è morto, e che sotto i detriti sono prigioniere la madre Angela Riccardi e la sorellina Romina di cinque anni. Alle 10.30, altri due corpi senza vita. Quelli di Michele Donnarumma, 38 anni, e di Antonietta De Rosa, di 83. Ma l’ opera di scavo continua. Le squadre d’ emergenza non si risparmiano. Ne arrivano altre. Avanzano a fatica tra le macerie, guidano i cani di soccorso lungo la collina di detriti, i feriti caricati sulle barelle: così viene tratta in salvo Anna Maria Bisi, 30 anni, madre di tre bambini. Le ustioni sul suo corpo stanno a testimoniare che è stata probabilmente la prima persona ad essere investita dalle fiamme e dallo scoppio. E’ stata scaraventata dal suo appartamento fino al cortile retrostante, ha fatto un volo di quindici metri, riportando lesioni gravissime su tutto il corpo. Il pericolo che correva Da dove è arrivata la scintilla che ha causato il disastro? Forse le è bastato accendere un interruttore per innescare quella bomba. Forse la donna non ha sentito l’ odore del gas e non si è accorta nè della fuga di metano nè del pericolo che stava correndo. Tutto è ancora da accertare. A questo penserà la magistratura che ha aperto un’ inchiesta. Anna Maria Bisi è gravissima, dicono i medici. Mentre lei lotta tra la vita e la morte nel reparto di rianimazione dell’ ospedale Loreto Mare, i vigili del fuoco tirano fuori dalle macerie, viva, sua figlia Valentina Giannelli di 8 anni e tentano disperatamente di salvare anche le altre sue bambine, Maria Grazia di 12 anni e Sandra di 14. Il padre, Domenico Giannelli, garagista di notte, è scampato all’ esplosione. Era al lavoro. Ma il boato ha fatto tremare anche quei suoi locali sotteranei e Domenico si è precipitato verso casa. Invece del portone d’ ingresso ha trovato una montagna di mattoni. Quante persone restano intrappolate? Il conto diventa estenuante, ogni ora si spera che qualche segno di vita compaia tra pietre e travi divelte. Nel tardo pomeriggio manca ancora all’ appello un’ intera famiglia: i Leone. La madre, Amalia Leone, il figlio Michele con la moglie Giovanna Esposito e le loro due bambine, Angela di sei anni e Maria di sei mesi. Giù, ad attendere una buona notizia, c’ è l’ altro fratello di Michele, Pasquale. Aspetta per ore, muto, davanti alle ruspe dei vigili del fuoco. Alle diciotto la speranza svanisce: l’ esplosione li ha sterminati. I loro corpi, abbracciati, sono rimasti schiacciati da un solaio. Vengono recuperati tutti, anche quello della piccola Maria di sei mesi: si è sperato per ore di trovarla viva, alle 20 il corpicino è stato estratto. Il cuore batteva ancora. L’ hanno portata subito all’ ospedale pediatrico dell’ Annunziata: ma la speranza di salvarla è durata solo pochi minuti. Non si trova più neppure l’ inquilino del piano terra, Andrea Napolitano, 48 anni, operaio saldatore. Era solo in casa: la moglie Margherita Borrelli e la figlia sedicenne, Michela, erano in ospedale per una visita di controllo. Sono scampate alla morte. Nella notte fredda, umida, sotto fasci violenti di luce si scava ancora, cercando un segno di vita.
di STELLA CERVASIO e CONCHITA SANNINO