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ELIO SCRIBANI Un boato forte come il rombo di un aereo, un fumo denso e altissimo che trasforma i vicoli in una trappola, la fuga precipitosa e le grida di centinaia di persone inseguite da esplosioni di polvere e detriti. Le nostre «Torri gemelle» sono il crollo in due fasi di un palazzaccio di cinque piani, disabitato e pericolante fino dal terremoto del 1980, al civico 25 di via Portacarrese a Montecalvario. Un nuovo proprietario, lavori abusivi, nessuna misura di sicurezza. Si è temuto fino a sera per la vita di due operai. Sei gli edifici vicini sgomberati, quasi 150 i senzatetto sistemati tra alberghi e scuole. I Quartieri spagnoli, le 16.30. La grande paura sorprende il popolo dei vicoli nel sonno breve e leggero del pomeriggio. Il caldo è asfissiante. Si ode uno scricchiolio sinistro, ma subito dopo un’ala intera dello stabile viene giù come un burro e si abbatte in pieno sole sulla strada, riempiendola di tufo e di polvere. Un attimo, ed è l’inferno. Un pedone non avrebbe scampo, ma per miracolo in quel momento non passa nessuno. Le macerie tappano il vicolo, lo ostruiscono completamente e, continuando a cadere rovinosamente, trascinano via anche i balconi del palazzo di fronte, ne sfondano le finestre, sigillano il basso di una famiglia di immigrati filippini che, per fortuna, non è in casa. Il terrore si impadronisce dei Quartieri. Ogni via diventa una via di fuga. Grida altissime, pianti di bambini, mamme disperate alla ricerca dei figli e figli a caccia dei genitori. Scatta rapida la macchina dell’emergenza. Arrivano vigili del fuoco, polizia, carabinieri, protezione civile, tre ambulanze con medici e infermieri attrezzate per il primo intervento. Qualcuno si sente male. Le auto in sosta rallentano molto le manovre dei mezzi di soccorso. Sul posto, tra i primi, anche il questore Puglisi. Gli uomini in divisa si disperdono sul territorio, l’obiettivo è quello di mettere la zona in sicurezza, chiudendo il varco in ogni vicolo che tocchi il perimetro del crollo. Un’opera lunga e difficile, perché la gente ancora si dispera, c’è chi cerca i propri cari, chi li chiama, chi ripete come una litania il racconto della paura. Non si sa se ci siano vittime. La polizia, con il vice questore Maurizio Casamassima, raccoglie voci. Qualcuno dice di aver visto anche oggi gli operai polacchi che lavoravano abusivamente nel palazzo crollato. Erano quattro, si dice, ma solo due si sarebbero messi in salvo. La Scientifica di Fabiola Mancone trova una mazzuola, arnese da lavoro. E gli altri due operai? Nessuno li conosce, nessuno è in grado di rintracciarli. Dunque, si punta alla ricerca del proprietario dello stabile. Tra i vicoli si dice che il proprietario, un tale Lino, lo abbia comprato da poco, magari sottobanco, rilevandolo da una dozzina di vecchi proprietari. Si sospetta di un pregiudicato rimasto coinvolto nel racket degli ormeggi. La polizia lo cerca, ma non riesce a rintracciarlo. Intanto, i vigili del fuoco tentano di prendere il controllo della situazione. Aspettano una macchina che rileva il calore e servirà per stabilire se ci sono corpi sotto le pietre. Arrivano a dare man forte anche tre cani anti-valanga della protezione civile, un labrador di nome Sun, 11 anni, animale serio e compassato, lo stesso che rintracciò il cadavere del geometra rimasto sotto le macerie a Materdei, Jordan, un cane di 3 anni, bellissimo e vivace, di razza border-collie, e Kelso, 2 anni, piccolissimo e dolce, un border-terrier. E torna la grande paura. D’improvviso, perduto il precario equilibrio del primo crollo, un’altra ala del palazzo viene giù di schianto, investendo, questa volta, prima gli uomini della sicurezza, che sono in prima fila, e poi la retroguardia degli sgomberati e la folla dei curiosi. La fuga è precipitosa, si corre e si grida, ciascuno una direzione, ciascuno cercando scampo in un palazzo o in una casa, si rischia di rimanere travolti, qualcuno si sente male, siamo tutti inseguiti da un nuvolone di fumo denso e dal rumore sordo e spaventoso di pietre che cadono su pietre. Quando il palazzaccio sembra finalmente assestarsi sulle proprie rovine, è già sera. Comincia, allora, il lavoro lento e paziente delle verifiche negli edifici adiacenti, partono gli ordini di sgombero, il triste percorso di uomini e donne che lasciano le case con lo sguardo perduto e le buste tra le mani. I vigili del fuoco riescono a far entrare nel vicolo l’autoscala, la posizionano a fatica, fanno salire al cielo uomini avvezzi al rischio e alle acrobazie. Si comincia, così, a sondare la stabilità del rudere, si lascia cadere ciò che rischia di cadere, si preparano transenne e presidi per le ricerche. E la notte cala su quest’altra sventura.
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